Massimo Martinelli
Massimo Martinelli

I lettori, la nostra bussola

I lettori, la nostra bussola
di Massimo Martinelli
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Mercoledì 1 Maggio 2024, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 14:15

Mi mancherete, voi lettori. Per quattro anni vi ho cercati con lo sguardo alle fermate dell’autobus, nei bar la mattina, negli uffici, negli studi professionali. Chiunque avesse per le mani una copia del Messaggero diventava una bussola. E’ stato così per tutto il periodo in cui ho avuto il privilegio di dirigere questo giornale: avere il vostro interesse come unica stella polare per rispondere alle aspettative, alle richieste di aiuto e alle istanze dei tanti che ogni mattina decidevano di dare fiducia al Messaggero. E oggi che lascio la direzione di questo grande giornale, la consapevolezza di aver guardato sempre alle priorità di voi lettori rende più lieve il distacco da quella che è a tutti gli effetti la mia seconda famiglia.


Sono un uomo fortunato. Ho avuto il privilegio di fare il mestiere più bello del mondo nella città che amo. E in aggiunta ho incontrato al Messaggero persone formidabili: alcuni maestri assoluti del giornalismo, quando entrai in via del Tritone nel 1986, da semplice collaboratore appena uscito dall'università. Poi, negli anni successivi, colleghi leali e instancabili, che mi hanno accompagnato fino alla direzione del giornale, condividendo una linea editoriale tanto coraggiosa quanto inattaccabile: quella di raccontare i fatti separati dalle opinioni. Abbiamo sempre evitato l'autoreferenzialità, consapevoli che il giornalista deve raccontare quello che accade e non essere esso stesso fonte di informazione.

Abbiamo raccontato dall'interno i salotti buoni della politica, dell'economia, della società senza esserne parte. E con la stessa attenzione abbiamo dato conto delle difficoltà delle persone più sfortunate, cercando di fornire a tutti una informazione corretta e comprensibile, epurata dagli slogan e dai proclami che in questa epoca social suggestionano le coscienze. Uscendo dagli schemi abbiamo riportato ogni singola notizia, dalla cronaca italiana fino allo sport, valutandone l'importanza solo in base all'effettivo interesse che poteva avere per chi decideva di leggere il Messaggero.

Siamo stati un baluardo del garantismo, in ogni declinazione possibile. Abbiamo evitato i sensazionalismi, nella consapevolezza che un titolo di giornale può ferire una persona al pari di una coltellata. Siamo rimasti indipendenti dai cosiddetti poteri forti e dalle lobby, decidendo volta per volta, in base a scelte etiche, quale fosse la posizione da appoggiare e quella da avversare. E lo abbiamo fatto sempre con coerenza.

Siamo rimasti fuori dal cosiddetto “mainstream”, un termine molto in voga che altro non è che la banale inglesizzazione di un fenomeno antico, avversato da Seneca in uno dei suoi Dialoghi: “...Da nulla bisogna guardarsi meglio che dal seguire, come fanno le pecore, il gregge che ci cammina davanti, dirigendoci non dove si deve andare, ma dove tutti vanno.

E niente ci tira addosso i mali peggiori come l’andar dietro alle chiacchiere della gente, convinti che le cose accettate per generale consenso siano le migliori e che, dal momento che gli esempi che abbiamo sono molti, sia meglio vivere non secondo ragione, ma per imitazione..”. Questi principi, fortemente condivisi dal nostro editore Francesco Gaetano Caltagirone, hanno rappresentato e continueranno a rappresentare il tratto distintivo del Messaggero.

Parlare di questo argomento mi consente di ringraziare il cavalier Caltagirone e sua figlia, Azzurra Caltagirone. Il primo per avermi dato credito e avermi permesso di coronare il sogno che ogni giornalista tiene nel cassetto: diventare direttore del giornale in cui ha iniziato facendo la gavetta. La seconda per avermi sostenuto per tutto il tempo del mio mandato, dandomi fiducia e supporto anche nei momenti più delicati, E condividendo con me un nuovo assetto del Messaggero che lo ha reso più agile, veloce e performante nella sfida avvincente con la concorrenza.

Lascio una redazione formidabile, con la quale ho trascorso più della metà degli anni della mia vita. Donne e uomini appassionati, orgogliosi di essere parte di questo Paese nel delicato ruolo di narratori delle sue vicende. Sono professionisti tra i più valenti d'Italia, in grado di competere a testa alta con i migliori giornalisti italiani e di primeggiare. A tutti loro va la mia riconoscenza oltre che la mia stima. Mi hanno insegnato tanto, umanamente e professionalmente.

In questo percorso sono stato accompagnato e supportato da una squadra di poligrafici, di amministrativi e di tecnici altamente specializzati, che dall'epoca delle macchine da scrivere e della stampa a piombo hanno saputo traghettare il Messaggero nell'era digitale dell'Intelligenza artificiale. Ho conosciuto quelli della prima ora, che rileggevano gli articoli sulle lastre pronte per la stampa e sapevano correggere gli errori di punteggiatura con le loro penne rapidograph a inchiostro nero. Conosco quelli di oggi, velocissimi nell'apprendere e applicare le nuove tecnologie ai moderni processi produttivi. Hanno vissuto in epoche diverse ma tutti indistintamente hanno sentito e sentono un fortissimo senso di appartenenza per questo giornale.

E sono sicuro che proprio questo attaccamento ai valori della nostra testata ha consentito e consentirà al Messaggero di essere in futuro un punto di riferimento per i romani e non solo. Da oggi passo il testimone ad Alessandro Barbano, un amico e un collega validissimo che conosco da anni. A lui invio i miei auguri più affettuosi di buon lavoro.

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