Fare le valigie e partire, spesso con gran parte della famiglia, spostandosi dalle Regioni del Sud verso il Settentrione. Con la speranza di trovare gli specialisti e le cure più adeguate. Non solo salva-vita, per patologie gravi come i tumori al cervello, ma perfino per piccoli interventi come calcoli o cisti, oppure riabilitazioni dopo gli infortuni muscolari. Lo chiamano turismo sanitario, ma più che un viaggio di piacere è una migrazione. Secondo un report realizzato da Adoc ed Eures che verrà presentato domani e che Il Messaggero ha potuto visionare in anteprima, si stima che la cosiddetta “mobilità sanitaria interregionale” sia arrivata a valere quasi 5 miliardi di euro l'anno. Una cifra record, in crescita del 15% rispetto all'ultima rilevazione. Insomma, tra centri specialistici inesistenti nei territori periferici e liste d'attesa interminabili, c'è un flusso che va per lo più verso il Nord e che muove oltre un quarto di quanto speso con l'ultima legge di Bilancio.
Corrisponde a un esercito di oltre 19 milioni di prestazioni fatte in Regioni diverse da quella di residenza: una prestazione ogni tre italiani.
ESODO VERSO IL PRIVATO
Dei 5 miliardi, 3,3 sono per ricoveri e visite o terapie. Gli altri per farmaci, cure termali e trasporti in ambulanza. Per le prime due voci le Regioni del Nord sono arrivate a guadagnare nel 2022 quasi 1 miliardo, la stessa cifra che è stata persa dal Mezzogiorno. Solo per i ricoveri ospedalieri dal Sud si sono spostati in 173mila, soprattutto da Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Per lo più verso Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Lazio. Il 66,9% delle prestazioni fatte spostandosi dalla propria provincia è offerto da strutture private, per lo più d'eccellenza. E dei 2,7 miliardi mossi per i ricoveri ben 900 milioni riguardano patologie di media complessità.
Le carenze strutturali al Sud sono evidenti: tra il 2012 e il 2022 gli ospedali e gli ambulatori specialistici sono diminuiti oltre la media nazionale. «Soprattutto per le patologie rare – aggiunge Pierino Di Silverio, segretario del sindacato Anaao-Assomed - al Sud i centri si contano sulle dita di una mano». Non solo: c'è un'offerta di posti letto di 3,5 posti ogni mille abitanti, contro i 3,8 al Centro e i 4 al Nord (comunque in calo). Vuol dire che ogni duemila abitanti si può curare o salvare la vita a una persona in meno. E così, segnala Fp Cgil, oltre l'80% dei ricoveri in mobilità dei campani viene fatto negli ospedali privati della Lombardia. All'Humanitas di Rozzano il 15,67% dei pazienti è di Napoli e dintorni. Dalla Calabria, invece, si va quasi sempre verso il privato nel Lazio, per lo più per curare i bambini, visto che in testa c'è il Bambin Gesù di Roma. Ma dal Lazio sono anche in molti quelli che si spostano, soprattutto verso il Nord e la Lombardia: in 49mila si sono curati in altre Regioni nel 2022. Il Veneto spicca per la riabilitazione, ma per le patologie dei muscoli e delle ossa la prima regione in Italia quanto a numero di prestazioni è l'Emilia Romagna. Per i tumori, invece, soprattutto per quelli al cervello e alla bocca, si fugge da Molise, Basilicata e Calabria, ma anche dalla Valle d'Aosta, per lo più verso Milano e provincia.
IL MANCATO RICAMBIO
Dal report Adoc-Eures emerge poi che nel 2022 le prestazioni intramoenia, offerte a pagamento dai medici negli ospedali e negli ambulatori, sono cresciute del 16,7%, con la spesa delle persone che supera il miliardo. Nel frattempo il 22,4% delle strutture pubbliche non rispetta i tempi per gli interventi gravi (che andrebbero fatti in 30 giorni). Cinque anni fa era in ritardo solo il 17,5% degli ospedali. Tra i privati il dato è fermo al 12,2%.
I medici e gli infermieri, poi, sono sempre più anziani e precari. I camici bianchi tra i 65 e i 74 anni sono il 275% in più rispetto al 2013. In corsia ne mancano almeno 25mila e per adeguarsi alla media Ue servirebbero 100mila assunzioni in tutto il settore sanitario. I lavoratori del pubblico, seppur pagati di più del passato, sono lo 0,7% in meno rispetto al 2012, con un leggero recupero a partire dal 2022 (625mila dipendenti, +1,3% sul 2021). L'incidenza dei contratti flessibili tra il 2010 e il 2022 è poi salita del 56,8%, superando per gli infermieri il 150%. «La situazione – dice la presidente di Adoc, Anna Rea – è critica. Serve uno sforzo da parte di Stato e Regioni, anche perché la spesa sanitaria rispetto al Pil è prevista in calo e le risorse messe in campo non sono riuscite a compensare gli aumenti dei costi dovuti all'inflazione».