Peter Aufreiter, primo direttore straniero a Palazzo Ducale: «Con me incassi raddoppiati»

Peter Aufreiter, primo direttore straniero a Palazzo Ducale: «Con me incassi raddoppiati»
di Gianluca Murgia
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Sabato 4 Maggio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 15:09

È arrivato con la riforma Franceschini, ha salutato con il piano Bonisoli a ridosso del Cinquecentenario di Raffaello. In mezzo, 4 anni di lavoro innovativo e visionario con i galloni di primi direttore straniero della Galleria Nazionale delle Marche.

Peter Aufreiter, lei ha detto: a Urbino ci metto tre anni per fare quello che in Austria farei in un anno. Oggi che dirige il Museo della Tecnica di Vienna è ancora di questo avviso?

«A Urbino in 4 anni abbiamo portato a termine progetti eccezionali di cui conservo ancora un immenso orgoglio. L'introduzione dell'autonomia parziale per alcuni musei statali era all'epoca una novità assoluta e molti percorsi burocratici non erano definiti. Anche per questo è stato un periodo molto impegnativo ma ha rappresentato anche un’importante fase di crescita e innovazione. È fondamentale potersi affidare a disposizioni amministrative stabili, che non subiscano frequenti cambiamenti».

L’hanno confermata alla guida del Museo della Tecnica di Vienna con un anno di anticipo.

«Esatto, nell'estate del 2023 mi è stata confermata la nomina come direttore per ulteriori 5 anni. Il mio primo contratto ha ancora un anno di validità, quindi sapevo già un anno e mezzo prima che avrei continuato nel ruolo. Questa stabilità di pianificazione è cruciale personalmente. E soprattutto per il museo».

Rifarebbe la scelta di venire a dirigere la Galleria Nazionale e rifarebbe anche la scelta di tornare a Vienna prima di godersi le celebrazioni di Raffaello?

«Col senno di poi sì, rifarei esattamente così. Sono stati 4 anni incredibilmente importanti e arricchenti per me. D'altro canto, sono stato contento di aver trascorso la pandemia qui a Vienna. Fossi rimasto per un altro mandato sarebbe finito l’anno scorso e avrei dovuto cercare qualcos'altro».

Il momento più bello?

«La conclusione, con la straordinaria e bellissima mostra "Raffaello e gli Amici di Urbino", con cui Urbino ha inaugurato l'anno giubilare di Raffaello».

Una immagine evocativa?

«Ancora oggi ho davanti agli occhi le lunghe code di visitatori che si snodavano intorno al Palazzo per celebrare il famoso figlio della città».

Sotto la sua gestione i visitatori nella Galleria Nazionale delle Marche sono aumentati del 30% e gli incassi sono raddoppiati nonostante il terremoto. Qualcuno l'ha poi ringraziata?

«Il più bel ringraziamento sono stati i numerosi visitatori che hanno apprezzato le mostre e le altre attività presso il Palazzo e il fatto che queste sono riuscite a influenzare positivamente il turismo e la vita in città».

C'è qualcosa che voleva fare ma non gli è stato permesso?

«Come team della Galleria Nazionale abbiamo compiuto un lavoro incredibile, considerando le condizioni in cui ci trovavamo all'epoca.

Molte delle iniziative avviate sono state portate a buon fine anche dopo il mio mandato. Mi dispiace non aver potuto realizzare la riorganizzazione dell’allestimento progettata con il geniale Italo Rota, purtroppo scomparso di recente».

Una provocazione: bisognerebbe aver la possibilità di portare dirigenti stranieri anche in altri settori italiani?

«La nazionalità non dovrebbe avere alcun peso, ciò che conta è l'impegno, l'amore per la cultura e le capacità dimostrate. Questi dovrebbero essere gli unici criteri con cui valutare un manager culturale».

Che differenza c'è tra il lavoro che svolgeva a Urbino e quello che sta portando avanti a Vienna?

«Il Palazzo Ducale di Urbino è un vero gioiello della storia dell'arte. Lavorare su progetti espositivi come “Raffaello”, “Scultura Aurea, Gioielli d’artista”, “Gio Pomodoro” “Giovanni Santi” o “Logli, tra Memoria e Mito” e poter approfondire relativi temi è sempre stato un arricchimento per la mia anima di storico dell'arte. D’altra parte, al Museo della Tecnica di Vienna, ci concentriamo principalmente su numerose collaborazioni con stakeholder pubblici e privati. Collaboriamo con università, aziende del settore tecnologico, vari ministeri e finanziatori della ricerca scientifica per coinvolgere soprattutto i nostri giovani visitatori nel mondo della tecnologia».

Qual è il progetto più importante a cui sta lavorando?

«Tra i progetti più significativi ci sono la rivisitazione della mostra permanente con nuove sezioni dedicate al cambiamento climatico, all'energia sostenibile e all'industria, oltre alla realizzazione di un innovativo parco tematico all'aperto».

Com'è cambiata la sua vita da Urbino al ritorno a Vienna? I suoi figli - aveva detto - non volevano andarsene. E sua moglie è di Urbino.

«Siamo naturalmente sempre in contatto con molti amici e parenti. Personalmente, mi mancano molte cose, come la meravigliosa e fruttuosa collaborazione tra le numerose istituzioni culturali di Urbino, come l'Accademia delle Belle Arti, l'ISIA, l'Università, l'Accademia Raffaello. E poi, naturalmente, l’arte culinaria».

È più tornato a Urbino?

«Devo ammettere di non essere stato al Palazzo da allora. Ma non vedo l'ora di fare presto visita e scoprire tutte le novità».

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