Quella nevicata così massiccia avrebbe dovuto far scattare immediatamente la macchina dell'emergenza: chiusura e pulizia delle strade e, soprattutto, evacuazione dell'hotel. Su questo punto la Corte d'Appello dell'Aquila ha ravvisato i profili critici della tragedia di Rigopiano, il resort abruzzese cancellato da una valanga il 17 gennaio del 2017, sotto le cui macerie sono morte 29 persone, con 11 miracolosamente scampate.
Rigopiano, motivazioni della sentenza di Appello: cosa dicono
È questo il cuore della sentenza di secondo grado, come si evince dalle motivazioni racchiuse in ben 600 pagine e depositate dal presidente del Collegio giudicante, Aldo Manfredi, con una settimana di anticipo rispetto alla scadenza prevista del 10 maggio. Un verdetto che ha confermato 22 delle 25 assoluzioni del primo grado, aggiungendo tre condanne alle cinque del Tribunale di Pescara: un anno e otto mesi all'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, un anno e quattro mesi al suo ex capo di Gabinetto, Leonardo Bianco; due anni e 8 mesi al tecnico del Comune di Farindola, Enrico Colangeli; tutti e tre erano stati assolti in primo grado.
A loro si sono aggiunte le condanne confermate per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (2 anni e 8 mesi) e per i funzionari del servizio strade della Provincia di Pescara, Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio, 3 anni e 4 mesi a testa.
Le tre azioni mancate: chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare l'hotel.
La sentenza si fonda su un principio: quella situazione meteorologica così estrema concretizzava il rischio di un pericolo e poco conta il fatto che, storicamente, fino ad allora, in quell'area, non si erano verificati episodi di particolare gravità. Questo non rappresentava un'esimente dalla necessità di intervenire. E dunque c'erano tre cose da fare senza indugio: chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare l'hotel. Azioni in capo alla Provincia e al Comune di Farindola, in primis. Da qui la conferma delle condanne per i funzionari del servizio strade della Provincia di Pescara, Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio, per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e per il responsabile dell'Ufficio tecnico dello stesso Comune, Enrico Colangeli. E in questo ragionamento si inseriscono anche le condanne dell'allora prefetto Francesco Provolo e del suo ex capo di Gabinetto, Leonardo Bianco, assolti in primo grado. Per i giudici d'Appello Provolo è venuto meno a obblighi specifici, in particolare l'attivazione del centro coordinamento dei soccorsi e della sala operativa. Dunque omissione e rifiuto di atti di ufficio a cui si aggiunge il falso ideologico per aver comunicato al Ministero, contrariamente al vero, l'attivazione degli strumenti di emergenza. Nelle motivazioni si chiarisce, però, che queste omissioni non hanno avuto effetti causali sulle morti: i tecnici erano comunque stati sentiti e non avevano dato al prefetto specifiche indicazioni per assumere provvedimenti che avrebbero potuto impedire la catastrofe.
Gli altri aspetti
I giudici hanno anche chiarito altri due aspetti nodali. Non sono state ravvisate responsabilità in capo alla Regione sulla mancata redazione della carta delle valanghe, competenza invece del Comitato Tecnico regionale per lo studio della Neve e delle Valanghe (Coreneva). Quanto agli ex sindaci, per la Corte non può essere loro addebitata la mancata modifica dei Piani regolatori, atti di competenza dei consigli comunali. La generica possibilità di valanghe in quell'area non è stata ritenuta, poi, elemento tale da vietare la realizzazione delle strutture, peraltro moltissime, in una zona molto vasta.