Un tempo si scrisse: bisogna fare la Rai come la Banca d'Italia riferendosi all'ordinamento di quest'ultima e alla sua autonomia istituzionale, funzionale e intellettuale. Tuttavia, questo progetto "in nuce" non ha fatto poi alcun passo avanti. Anzi, a un certo punto, si era tentato - senza per fortuna riuscirvi - di fare la Banca d'Italia come la Rai. Il virus della spartizione, nella forma del metodo delle spoglie, ha finito per contagiare, alternativamente, le forze politiche. Oggi si osserva progressivamente una nuova condizione inedita che alcuni potrebbero considerare un punto quasi di arrivo nel nome del pluralismo o, visto da una diversa angolatura, della polarizzazione, con la presenza in Rai, sia pure di sicuramente diversa rappresentatività numerica, di due organizzazioni sindacali, irrisolti restando i problemi che, invece, coprono tutto l'arco politico. Non si può di certo parlare di un riequilibrio risolutore e comunque non sarebbe, questa, la chiave di volta di un diverso, avanzato assetto. A questo punto, la riforma, una vera rivisitazione che non si traduca in meri spostamenti di caselle tra Parlamento, Governo e Tesoro, diventa ineludibile e potrebbe, anzi dovrebbe essere promossa con una estesa convergenza politica , trattandosi della società pubblica che è al primo posto nel " fare opinione", nell'incidere sui comportamenti e sulle aspettative degli italiani, nell'essere uno dei contrappesi nel sistema democratico. I suoi meriti sono noti, anche se spesso vengono avvolti nelle polemiche non sempre fondate e poi in parte bilanciati da pratiche, episodi e comportamenti non certo apprezzabili. Il nodo lottizzatorio finisce con il soffocare le stesse numerose professionalità che vengono in evidenza, non in quanto tali, ma innanzitutto per chi ne ha voluto la nomina.
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