È difficile ricordare periodi, perlomeno nella storia recente, in cui la scuola riempiva così tanto il dibattito pubblico e le pagine dei giornali. I motivi sono i più disparati: da quelli più controversi, come il sistema delle valutazioni degli alunni, a quelli meno onorevoli, come la gestione delle occupazioni studentesche che sfociano in vandalismi. L’ultima occasione, perlomeno in ordine di tempo, è data dalle polemiche, francamente immotivate, sulla proposta del ministro Valditara di tenere le scuole aperte anche d’estate. Le posizioni in campo sono note. Da un lato, chi sostiene che le scuole dovrebbero rimanere aperte più a lungo, perché per le famiglie è costoso e problematico organizzarsi per tre mesi; dall’altro lato, chi sostiene che i ragazzi hanno tutto il diritto di staccare la spina e di riposarsi, specialmente durante i torridi mesi estivi. Il problema di queste due posizioni piuttosto estreme è che si basano su questioni di principio. Si può anche essere d’accordo con entrambe: ma qui il punto non è quale dei due principi sia quello corretto, bensì se la specifica proposta del governo, nei suoi dettagli, sia valida oppure meno. E basterebbe leggersi decreto e circolare di accompagnamento per capire che lo è. Seppur con alcuni limiti, che sono l’oggetto di questa riflessione. Innanzitutto, il governo aggiunge un elemento fondamentale, che prima scarseggiava: i fondi. Saranno dunque 400 milioni in totale, 80 in più che in passato, quelli dedicati all’iniziativa “Scuole aperte d’estate”. E ciò apre la porta a una seconda osservazione rilevante: non si tratta di una novità, bensì di un potenziamento. La retorica delle scuole chiuse d’estate, infatti, non è più vera da qualche anno. O, perlomeno, non lo è più per tutti gli istituti. Anche grazie all’iniziativa di esecutivi precedenti, nonché alla buona volontà di docenti e dirigenti scolastici, la possibilità di offrire alternative per i mesi estivi ai propri studenti esiste già. Il problema è che, come spesso accade nel nostro paese, dove la retorica esige diritti uguali per tutti ma l’evidenza mostra esattamente il contrario, questa opzione dipende in maniera fondamentale dalla fortuna o meno degli alunni.
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